giovedì 7 novembre 2013

LA VITA QUOTIDIANA





PREFAZIONE
PICCOLA STORIA
Itaca, Dulichio, Same e Zacinto
In periodo miceneo l’arcipelago fu sede del regno di Odisseo; tuttavia le identificazioni dei luoghi omerici sono ancora tutt’altro che certe, a partire da quella della stessa Itaca poiché, nonostante le numerose insenature della costa possano richiamare i limenes panormoi dell’Odissea, (XIII, 195), i rari resti antichi ci offrono poche conferme della topografia descritta dall’Odissea e l’identificazione stessa dell’isola con la patria di Odisseo è stata oggetto di discussioni.
Omero parla di un potere marittimo (Od., IX, 21-28) formato da quattro isole: Itaca, Dulichio, Same e Zacinto. Itaca era la città di Odisseo e capitale del regno e fu riconosciuta dagli autori classici con l’isola che in periodo storico si chiamava Ithaki o Thiaki. Il problema dell’identificazione dei toponimi omerici nell’Eptaneso era tuttavia discussa anche in antico e Strabone (X, 2, 8-19), trattando la geografia dell’area propone come soluzione di individuare Dulichio con l’isola di Dolichi, Same con Cefalonia, mentre Zacinto e Itaca avrebbero conservato i nomi omerici; Leucade, in Omero, sarebbe una penisola, non essendo ancora stata tagliata la stretta striscia di terra che la univa alla terraferma. Nonostante i diversi tentativi fatti in periodo moderno di far concordare le indicazioni geografiche di Omero con la realtà fisica dell’arcipelago, si è oggi propensi all’identificazione dell’Itaca omerica con la Thiaki storica, considerando che le eventuali aporie del racconto omerico possano essere dovute a una conoscenza indiretta dell’arcipelago ionico. Se così fosse, si potrebbe far coincidere l’isolotto Daskalio, al largo della baia di Polis a Itaca, con l’omerica Asteris, dove i Proci aspettavano il ritorno di Telemaco. Corfù, che non mostra tracce di un’occupazione micenea, a causa della sua posizione periferica è stata spesso identificata con l’isola di Scheria, sede dei Feaci.
A Itaca si è creduto di riconoscere il palazzo di Odisseo nei resti sulla collina di Pelikata, che domina le tre baie di Aphales, Polis e Phrikes. Tuttavia non sono stati rinvenuti resti significativi a parte una possibile cinta ciclopica e un grande edificio nel punto più alto della collina. Un secondo insediamento dell’età del Bronzo è stato individuato nei pressi di Stavros. Nei dintorni della collina la necropoli ha restituito ceramica elladica e micenea.

 Resti importanti sono stati rinvenuti nella grotta della baia di Polis, utilizzata a partire dall’epoca micenea come luogo di culto. Qui sono stati trovati frammenti di ceramica antico- e medioelladica e una discreta quantità di ceramica tardomicenea.






 Alla stessa fase a Cefalonia, che Omero (Od., I, 246; IV, 671; IX, 24; XXV, 29) indica con il nome della sua città più importante, Same, si datano le tombe a tholos scoperte in località Mazarakata, con ricchi corredi, e le altre presenze rinvenute nei siti abitati in età preistorica. A Leucade gli scavi di tumuli circolari nella piana di Nidrì hanno portato alla luce sepolture in pithoi, in fosse rettangolari o in tombe a cista, associate a ceramica antica e media elladica, insieme ai resti di un vasto edificio; più scarsi però sono i rinvenimenti di periodo miceneo, mentre a Corfù nei pressi di Kapo Kephali è stato portato alla luce un villaggio abitato nel Medio e Tardo Bronzo.


MONETE DI ITHACA DEDICATE AD ODISSEO
(periodo ellenistico)

In periodo protogeometrico e geometrico, Itaca svolge un ruolo importante per la sua fortunata posizione all’entrata del Golfo di Corinto, che ha reso l’isola un punto di attracco privilegiato sulla rotta per l’Italia e la Sicilia. Le informazioni su questa fase della vita dell’isola derivano soprattutto dalle sequenze stratigrafiche provenienti dagli scavi del santuario in grotta dedicato alle Ninfe presso la baia di Polis e di un secondo santuario, dedicato a una divinità sconosciuta, che è stato indagato sulle pendici del monte Aetos. Entrambi i luoghi di culto non mostrano soluzione di continuità attraverso le Dark Ages e vi sono state trovate numerose offerte di periodo protogeometrico e geometrico;
FRAMMENTI DEI TRIPODI
(baia di polis Tthaca)






 in quest’ultima fase, nel santuario delle Ninfe sono stati rinvenuti 13 tripodi bronzei e numerosi oggetti di fabbricazione corinzia che a partire dalla fine del IX sec. a.C. (medio Geometrico II) sono frequenti non solo nell’Eptaneso, ma anche in altri siti della Grecia occidentale, come Vitsa in Epiro; ma è proprio a partire dall’800 a.C. che la zona cade sotto una forte influenza corinzia che continuerà nel tempo. La presenza di calderoni di bronzo fa pensare che già in questo periodo alle Ninfe sia stato associato il culto dell’eroe locale Odisseo, che sicuramente in epoca più recente era venerato nel santuario, come testimonia un graffito di periodo ellenistico con il nome dell’eroe rinvenuto nella grotta.
RICOSTRUZIONE DI UN TRIPODE
(baia di Polis Ithaca)


 La ceramica trovata nel santuario dell’Aetos mostra tuttavia una certa resistenza di forme che richiamano la tradizione locale e più in generale quella greco-occidentale, con caratteristiche comuni anche alla ceramica dell’Acarnania e dell’Acaia: soprattutto kantharoi con basse anse e decorazione per lo più lineare, cui si aggiungono alcuni motivi atticizzanti, come i cerchi segnati con il compasso.
Intorno al 780 a.C. il culto ha ricevuto un nuovo impeto dalla presenza corinzia nella zona e probabilmente in questo momento è stato costruito un edificio templare. In tale periodo la ceramica locale assume nuove forme e nuova decorazione sotto l’impulso dello stile corinzio, fino a produrre ceramica di imitazione corinzia poco prima del 700 a.C. e terminare con una produzione di piccole oinochoai di stile protocorinzio all’inizio dell’Orientalizzante.




kotylai del tipo detto Aetos 666.
 Oltre la ceramica, il santuario dell’Aetos ha restituito altri importanti materiali che ne testimoniano la vitalità e l’importanza internazionale: gioielli di ambra, provenienti dall’Europa del Nord attraverso l’Italia o l’Adriatico, amuleti di bronzo dalla Macedonia, sigilli scaraboidi dalla Cilicia, oreficeria da Creta. Ancora una volta rilevanti sono le importazioni da Corinto, che si intensificano dopo il 700 a.C. e che comprendono sigilli di avorio e un gruppo di cavalli di bronzo lavorati a martello. Nello stesso tempo, nonostante la forte presenza corinzia nella Grecia occidentale, si continua a produrre a Itaca una ceramica locale importante che trova una certa diffusione nelle altre isole dell’Eptaneso, soprattutto a Corfù, testimoniando una certa vitalità della cultura locale. In un vaso del 700 a.C. di produzione itacese, l’alfabeto non è di tipo corinzio, ma affine a quello dell’Acaia e include una lambda calcidese. Le importazioni dall’Eubea non sono numerose come quelle corinzie, ma significative, come dueskyphoi rinvenuti a Aetos e producono delle imitazioni nella ceramica locale.
La fondazione della colonia corinzia Corcira (gr. Kρκυρα, Kρκυρα; lat. Corcyra) a Corfù (734 o 708 a.C.) deve essere stata preceduta da almeno due generazioni di scambi tra l’isola e Corinto, le cui navi battevano la zona e le coste del-l’Epiro almeno dall’inizio dell’VIII sec. a.C. Sull’isola tuttavia ancora non sono state rinvenute prove archeologiche di una presenza di mercanti prima della fondazione della polis, anche se Plutarco (Quaest. Graec., 11) ci informa che i Corinzi cacciarono alcuni abitanti di Eretria che si erano insediati sull’isola e Strabone usa per la fondazione della nuova polis il termine synoikiynta, che farebbe pensare piuttosto a una fondazione mista tra colonizzatori e indigeni, i quali appartenevano probabilmente a popolazioni illiriche o apule. Una colonia di Corinzi si impianta anche sull’isola di Leucade; essi fondarono la città eponima alla metà del VII sec. a.C. e secondo Strabone (X, 451) tagliarono l’istmo che legava l’isola alla terraferma. La fondazione di Corcira rende stabile la presenza corinzia sull’arcipelago. Verso la fine dell’VIII sec. a.C. un gruppo di rifugiati politici provenienti da Corinto sotto il comando di Archia o di Chersicrate, entrambi Bacchiadi, fondò la colonia nel sito di Paleopoli, sulla costa est dell’isola, cambiando il nome pregreco del sito, Drenane, con quello di Kerkyra o Korkyra che derivava da quello della Gorgone, il demone sconfitto da Bellerofonte. La polis crebbe rapidamente e già nel 664 a.C. si rivoltò contro la madrepatria, provocando la caduta dei Bacchiadi e l’ascesa dei Cipselidi. La fondazione della nuova polis accresce notevolmente l’importanza commerciale e politica di Corfù rispetto alle altre isole e la ripresa dei rapporti tra Corcira e Corinto sotto la tirannide di Periandro alla fine del VII secolo segna un momento particolarmente prospero, caratterizzato da un’intensa attività edilizia e artistica sotto l’influenza delle botteghe corinzie; tale influenza è testimoniata dai nuovi complessi edilizi presso i santuari della polis e, nella necropoli, dal cenotafio di Menekrates, che sorgeva su uno zoccolo circolare e che portava un’iscrizione metrica in caratteri corinzi, e da una statua di leone a grandezza naturale che si ergeva non lontano da quest’ultimo, stilisticamente vicina ai felini del frontone del Tempio di Artemide.
L’acropoli della polis era situata sull’altura di Anlipsis, nei pressi del precedente insediamento euboico, all’interno di una penisola che formava due bacini portuali: quello a ovest, probabilmente il porto militare era chiamato Hyllaico, quello a nord era in relazione col nome di Alkinoos. L’abitato, del quale rimangono scarse tracce, era situato nell’area tra i due porti. Alla prima fase della città appartiene il primo impianto del santuario dedicato a Hera Acraia; rinvenuto all’interno del parco di Mon Repos. Alla fine del VII secolo il santuario fu chiuso da un peribolo e fu costruito un ampio tempio le cui colonne e parte della trabeazione sono realizzate in calcare locale; il tetto ricoperto di elementi in terracotta ha restituito gocciolatoi in forma di protomi leonine e gorgoneia di fattura corinzia. Nel 585-580 a.C. viene sistemato il santuario di Artemide, scoperto a ovest del monastero di Hagios Theodoros. L’area sacra era chiusa da un temenos, all’interno del quale fu realizzato un tempio dorico periptero (8 x 17) con la cella divisa in tre navate da due file di colonne. La copertura del tetto era in terracotta e originariamente aveva gocciolatoi fittili, sostituiti nel corso del secolo da elementi in marmo. La decorazione frontonale era realizzata in altorilievo su lastre di calcare locale; il frontone ovest aveva come figura centrale la gorgone Medusa fiancheggiata dai figli Pegaso e Chrysaor e da due pantere; negli angoli due gruppi: a sinistra Priamo ucciso da Neottolemo, a destra Zeus che combatte con un gigante. Nel frontone non è rappresentato Perseo, ma la presenza dei figli nati dal sangue della madre decapitata, in accordo con quanto racconta Esiodo (Sc., 216; Theog. 270), richiama la morte della Gorgone in una visione sinottica della narrazione. Più problematico è raccordare le scene laterali con la rappresentazione principale. A est il soggetto doveva essere analogo anche se è difficilmente ricostruibile per la cattiva conservazione delle sculture. Rimane una metopa frammentaria con Achille e Memnone. Di fronte al tempio si trovava un altare monumentale decorato con un fregio dorico.
 Dopo la morte di Periandro (seconda decade del VI sec. a.C.), Corfù riacquistò la sua indipendenza e grazie agli scambi commerciali con altre regioni ebbe inizio un periodo di grande prosperità economica. A Corcira durante il VI secolo si conoscono altri importanti interventi edilizi, che testimoniano la vitalità della polis la quale proprio in questo periodo sembra estendere la propria influenza sulle altre isole. Nel santuario all’interno del parco di Mon Repos furono aggiunti al culto principale altri luoghi cultuali, come un peribolo a cielo aperto con un altare dedicato ad Apollo e due piccoli templi dedicati ad Afrodite e a Hermes. Nella stessa zona nei pressi della fontana Kardaki, si trova un tempio dedicato ad Apollo della fine del VI sec. a.C., dorico, periptero con colonne monolitiche e una trabeazione di tipo ionico con architrave coronato da ovuli, cornice e kyma; il tetto, in terracotta, aveva come acroteri Nikai. Sempre al VI secolo si data l’impianto del santuario di Poseidone nei pressi della Panaghia Kassiopitra, di cui rimangono alcune tracce. Nella zona meridionale della città, nell’area di Figareto, forse si trovava il tempio di Dioniso, al quale probabilmente apparteneva il frontone raffigurante un simposio dionisiaco (500 a.C. ca.).
Minori sono le testimonianze di periodo arcaico nelle altre isole: a Cefalonia, a questa fase, si datano un capitello e alcuni frammenti di ceramica corinzia, oltre ad alcune monete coniate dalle città dell’isola a partire dalla fine dell’età arcaica, secondo il sistema ponderale corcirese; a Itaca testimonianze di età arcaica provengono dal santuario sulle pendici dell’Aetos, dalla grotta presso Polis e da un complesso con una torre e un peribolo nei pressi di Haghios Athanasios. Forse a quest’epoca si devono datare anche le mura poligonali dell’acropoli di Leucade e l’impianto del santuario di Apollo a Capo Leucade. Corcira, che non partecipò alle guerre persiane, sembra mantenere durante il periodo classico un ruolo di supremazia nell’Eptaneso, portato avanti anche con un incremento della propria potenza militare. Al V sec. a.C. risalgono le possenti fortificazioni che proteggevano la città a nord e il porto di Alcinoo a est e di cui sono state identificate due porte costruite in blocchi di poros e marmo, più tardi parzialmente incorporate nelle fortificazioni veneziane. Di minore entità gli interventi all’interno dei santuari. Il santuario di Hera Acraia fu restaurato nel 400 a.C. e nel V secolo a nord-est del santuario di Artemide fu costruito il tempietto di Apollo Pizio (V sec. a.C.). Corcira si trovò coinvolta nelle manovre ateniesi che portarono alla guerra del Peloponneso e nel 433 a.C. ebbe luogo lo scontro con Corinto a causa dell’ingerenza di quest’ultima nelle dispute politiche di Epidamno, loro comune colonia.
A Cefalonia in età classica sono state costruite le mura delle città di Crane e di Same; Crane, che controllava il territorio occidentale, aveva due cinte murarie, delle quali rimangono più tratti: la prima racchiudeva l’acropoli e la pianura sottostante fino alla baia, la seconda, spessa 3,5 m e con un circuito molto più vasto e rinforzato da torri quadrate, racchiudeva il resto del territorio. Della città di Same, che aveva due acropoli, rimangono tratti della cinta muraria di età classica e i resti di un tempio, individuato sotto la chiesa di S. Giorgio. Sempre al V secolo si data la torre rinvenuta a Itaca nei pressi del santuario dell’Aetos, anche se le offerte sembrano cessare nel IV sec. a.C. Nel 338 a.C. Corcira partecipò alla battaglia di Cheronea e in periodo ellenistico perse la sua importanza politica. Nel 229 a.C. fu un protettorato romano e nel I sec. a.C., schieratasi con Marco Antonio, fu saccheggiata dalle truppe di Agrippa, genero di Ottaviano. La città romana era limitata all’area di Paleopoli e al porto di Alcinoo, dove nel II sec. d.C. furono eretti un odeion, terme, cantieri navali e arsenali. Impianti termali furono realizzati anche a Kassiopi, sulla costa settentrionale, e a Benitses sulla costa sud-orientale.
Poche le testimonianze di periodo ellenistico e romano nelle altre isole. A Itaca nel santuario presso la baia di Polis le offerte continuano fino al I sec. d.C.; a Same di Cefalonia nel III sec. d.C. è stato costruito un impianto termale; a Leucade l’istmo fu tagliato una seconda volta nel I sec. a.C. e fu costruito un ponte che collegava l’isola alla terraferma. Nel VI sec. d.C. la città antica di Corcira fu abbandonata a causa delle incursioni barbariche e gli abitanti furono trasferiti sul piccolo promontorio roccioso del Vecchio Forte.

ORGANIZZAZIONE SOCIALE

Chi erano dunque i re di Ithaca, Micene, di Sparta e di Pilo? Chi era Agamennone, chi Nestore e Menelao? Secondo gli studiosi, il presunto castello feudale di Agamennone formava il cuore di una monarchia teocratico-burocratica, simile a quelle del vicino Oriente. Quel re, che siamo abituati a immaginare come un irsuto signore della guerra o come un artigiano che fabbricava con le sue mani letti, zattere e ordigni, divideva il titolo di «Wanax» con un dio, ed era strettamente collegato ad una dea chiamata la «Signora». Nel palazzo, tutta la vita del regno veniva accentrata da una complessa burocrazia.
Sovraintendenti,governatori provinciali, ufficiali di-strettuali, ispettori riscuotevano tributi, distribuivano materie prime e razioni alimentari, censivano le greggi. Mentre le lavandaie, le tessitrici, le filatrici e le fornaie gremivano il palazzo come un clamoroso alveare, gli scribi preparavano le fragili e indistruttibili tavolette d'argilla, talune piccole come fogli di un notes, talune ampie come le pagine di un grande libro, che portano ancora il segno delle loro dita; e compila-vano documenti di ogni specie, simili alla folla di scribi che popolava l'Egitto dei faraoni.In primo luogo, il «Wanax» era un proprietario fondiario; e migliaia di pecore e capre, pochi maiali e poche mucche pascolavano per lui sulle colline della Grecia e di Creta. Ma il paese non era ricco. Da dove egli traeva la sua potenza? Tutto ci lascia credere che, come Luigi XIV e i sovrani dell'epoca mercantilista, i sovrani micenei possedessero delle «manifat-ture reali»: fabbriche di unguenti e profumi, come quella si-tuata fuori dalle mura di Micene, da cui Agamennone derivò parte della sua ricchezza. Anche il commercio estero era una prerogativa reale, e i mercanti e i marinai, abili e senza scru-poli quanto i futuri mercanti greci, attraversavano il Mediterraneo agli ordini dei sovraintendenti di corte. Gli unguenti, i vasi, le stoffe colorate, le spade e i pugnali fabbricati nel Peloponneso venivano sbarcati nei porti di Cipro, dell'Egitto, dell'Asia Minore, e nei porti d'Italia, da dove altri mercanti li avrebbero trasportati sempre più a nord, fino nella Cornovaglia. Tornando in patria, le navi micenee caricavano le mercanzie più richieste dai loro sovrani: l'oro della Nubia, gli scarabei, l'ebano, le resine, le uova di struzzo, le pietre rare acquistate in Egitto: la magica ambra lavorata in Inghilterra: lo stagno della Cornovaglia, della Boemia e della Toscana: l'argento della Sardegna; e l'avorio indiano, che lente, instancabili carovane avevano condotto a Ugarit, a Alalakh e a Biblo.
Ma il sovrano non riassumeva nella sua persona, come in Egitto, tutta la forza e il nome dello stato. Il «lawagetas», il condottiero dell'esercito, occupava il secondo posto del regno, come tra gli Ittiti il «grande Scudiero» stava a fianco del re Sole; e i «telestai» erano probabilmente legati al re da un rapporto di tipo feudale. Infine il «damos», la collettività del popolo, possedeva molti terreni propri, dei quali disponeva a suo talento. Del «damos» faceva parte quella attiva folla di artigiani liberi che si accalcavano nelle strade dei borghi. Se riapriamo i registri degli scribi, ecco tornare ad affacciarsi i carpentieri, i calderai, i cuoiai, i vasai e gli intagliatori di pietre: ecco i fabbri ripeterci il loro nome, Plouteus, Kukleus, Noeus, Onaseus, Khariseus: ecco i meravigliosi mobilieri, che decoravano i seggi ed i tavoli con teste di leoni, polipi e grifoni d'avorio, con palme e uccelli in oro, cianite e cristallo di rocca: ecco gli orafi, i fabbricanti di archi e di elmi, i tinto-ri dalle mani sporche di porpora; mentre l'erborista continua ad allineare nei suoi scaffali le radici, i semi, le alghe, gli incensi e i farmaci, con cui curare i vivi e i morti.Verso il 1600 avanti Cristo, come crede il Palmer, o tre secoli prima, come sostengono altri studiosi, le popolazioni micenee discesero nelle colline e nelle pianure della Grecia.

Ma una cosa è certa. Intorno al 1500, quando mani pietose seppellirono i quattordici scheletri coperti d'oro, la Grecia continentale obbediva ai re di Micene. Avevano c o n d o t t o con sé i cavalli, fino allora ignoti nel mondo egeo, e facevano riprodurre il segno della loro potenza sui sigilli, sugli affreschi, sulle spade e sulle pietre tombali. Un secolo dopo, gli splendidi cocchi leggeri a due ruote, col cassone di legno dipinto di rosso minio e le ruote rivestite di bronzo, sbarcarono a Creta: assalirono impetuosamente i guerrieri minoici: un re greco sedette sul piccolo trono alabastrino di Minosse; e le due civiltà confusero insieme i loro apporti - il cavallo e il polipo, la spada e il delfino - in modo che oggi sembra disperato distinguerli.Per molti aspetti, la religione micenea era simile a quella greca: Zeus, Era, Ermes, forse Atena e le Due Regine (poi Demetra e Persefone) appaiono nelle tavolette, mentre una folla di divinità bestiali e di demoni si intravede nelle figura-zioni scolpite e dipinte. Ma Zeus e i futuri dèi olimpici vivevano sotto il segno di una divinità più potente. Chi allora regnava nel Peloponneso era l'antico Poseidone, dio delle profonde acque sotterranee, delle sorgenti vitali, delle paludi che ancora coprivano la Grecia, degli improvvisi e catastrofici scuotimenti di terra, piuttosto che delle acque marine: lo stesso padre di mostri che, nell 'Odissea, gli dèi olimpici cercano di sconfiggere con l'astuzia.Intorno alla metà del tredicesimo secolo, la forza dei regni micenei toccò il culmine.

 Mura ciclopiche salirono intorno alle rocche, i palazzi vennero ampliati, le sale riccamente af-frescate, le tombe a cupola si apprestarono a ricevere le ossa degli Atridi: mentre i guerrieri assalivano l'Egitto e impone-vano la loro insegna religiosa, il dio-cavallo (una delle incarnazioni di Poseidone), ai signori di Troia. Pochi decenni do-po, come se con questa impresa i re di Micene avessero osato qualcosa di nefando, su cui sarebbe discesa la vergogna dei secoli, sopravvenne il clamoroso disastro. Quale ne fu la causa? Forse, come pensa Rhys Carpenter, i venti alisei dell'Egeo risalirono verso il nord, allontanando le piogge da molte regioni della Grecia, che rimasero in preda alla siccità, deserte, arse e abbandonate, con pochi alberi rosicchiati fi-no alle radici? Nulla ci permette di credere a questa ipotesi fantasiosa.Un invasore sconosciuto assalì Pilo. Come ci ricordano le tavolette d'argilla, i micenei prepararono le difese. Le donne abbandonarono i villaggi, e l'oro di un santuario venne trasportato nel palazzo del re. Gruppi di «guardiani» furono inviati a sorvegliare le lunghe coste del golfo di Messenia e del golfo di Arcadia: reparti di rematori, artigiani del bronzo e muratori rafforzarono le unità militari e la flotta, concentrataattorno al capo Rion. Ma tutte le difese furono vane: le misteriose orde armate di ferro sbarcarono a Pilo, sconfìssero i guerrieri coperti di bronzo e incendiarono la reggia di Nestore, interrompendo per sempre quella vita così fiduciosa: uccisero gli scribi che stavano compilando un registro fondiario e le ancelle che avevano appena preparato le anfore piene di vi-no e brocche d'acqua per il bagno della regina. Qualche tempo dopo, le selvagge fiamme degli incendi raggiunsero Micene, Tirinto, Orcomeno e Cnosso: Atene si preparò alla suprema difesa; e il ricordo della civiltà di Agamennone di Odisseo e di Nestore rimase affidato, per trenta secoli, alle ingannevoli e veritiere parole dei grandi poeti. 







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